3. Iniziazione e misticismo
Iniziazione e misticismo
Il significato della parola “iniziazione” esprime correttamente il significato del termine sanscrito dīkṣā. Deriva dal latino initiatio che indica l’accettazione rituale di un discepolo in un’organizzazione iniziatica, nota come Mysterium. I sampradāya (organizzazioni iniziatiche) che conferivano l’iniziazione erano diversi, situati in santuari simili ai maṭha e ai pīṭha dell’Induismo.
In ogni santuario l’iniziazione ai Misteri delle diverse divinità era conferita da alcuni maestri-sacerdoti e in questo modo il dio o la dea locale diveniva l’iṣṭadevatā dell’iniziato. Il nome della Divinità veniva recitato come jāpa insieme ad altri suoni, come ad esempio “evoé” (εὐοῖ) o “iò” (ἰώ), senza alcun significato letterale, come i bīja mantra dell’Induismo. I santuari più famosi erano dedicati alle dee Demetra (Bhūdevī) e Persefone (la Dea della luna) vicino alla città di Eleusi, non lontano da Atene. Quelli dedicati a Zeus (il Re degli Dei) e alla sua consorte Dione, a Dodona in Epiro, l’odierna Macedonia; altri importanti Misteri erano dedicati al Dio Dioniso (simile al saiva tāntrika sādhana), ai divini gemelli Kabiri (gli Dei del fuoco sotterraneo), in Grecia; il mysterium Orfico-Pitagorico dedicato al Dio del sole Apollo (corrispondente a Sūrya), in Italia meridionale; quelli della Magna Mater (Grande Madre) e di Bona Dea (Buona Dea), a Roma.
Il verbo latino inire significa “entrare” ed esprimere l’idea di accedere a una nuova condizione di esistenza, a una diversa esperienza interiore. Perciò initiatio fu usato anche per definire il rituale atto a produrre questo profondo cambiamento nella vita dell’individuo e a introdurlo nell’ambito misterico. Il guru era chiamato initiator in latino, μυητής (leggi myetés) o μυσταγωγός (leggi mystagogòs) in greco. Conferendo la dīkṣā (initiatio; μύησις, leggi mýesis) trasformava con questa modalità un profano (prophanus; gr. αμύητος, leggi amýetos) in un dīkṣita (initiatus, μύστης, leggi mýstes). Quest’ultimi termini greci derivano dal verbo μυέω-μύω (leggi myéo–mýo), il cui significato letterale è “rinchiudersi” in uno spazio sacro o, anche, “chiudere” le proprie labbra, ossia venire a far parte di una comunità sacra e, allo stesso tempo, di mantenere in se stessi il rahasya[segreto, N.d.T.] incomunicabile. Come s’è già detto, il dominio riservato ai dīkṣitaera chiamato esoterismo (dottrina interiore e il sādhana), mentre il dominio aperto alla maggioranza delle persone ordinarie, i profani veniva chiamato essoterismo (culto esteriore, religione).
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Durante il IV secolo d.C., quando gli Imperatori romani si convertirono alla religione cristiana insieme ai loro sudditi, tutti questi termini passarono all’iniziazione cristiana. In realtà, all’interno della Chiesa cristiana essoterica, le influenze di molte organizzazioni iniziatiche sono continuate per lo più nei monasteri, presso le confraternite guerriere e le corporazioni artigiane (śreṇi). Nel tardo Medioevo, con il declino degli Ordini monastici e con la sanguinosa distruzione dell’Ordine del Tempio da parte del Re di Francia con l’approvazione del Papa (1313-14 A. D.), le iniziazioni cristiane scomparvero. Da quel momento i termini “mistico” e “mistica” non significarono più dīkṣita e sādhana, ma designarono solo un nuovo fenomeno religioso, quindi essoterico. La mistica e, soprattutto, il misticismo divennero un nuovo approccio religioso esteriore, un’esperienza spontanea, individuale, emotivamente intensa, senza alcuna connessione con una guruśiṣyaparamparā regolare, senza alcun sādhana basato su yantra, mantra, tantra. I mistici sono più simili ai medium del villaggio, a volte posseduti spontaneamente da Dei, genii e altri esseri, che essi considerano come fossero di volta in volta Dio, Gesù, la Vergine Maria, altri Santi e Diavoli. Il mistico ha una naturale predisposizione ad aperture psichiche, rimanendo passivo a influenze provenienti dall’esterno. Citiamo ora come un teologo cattolico contemporaneo definisce il “misticismo”:
Che cos’è allora la mistica? Non è “mai” qualcosa di acquisibile attraverso degli esercizi, delle tecniche ascetiche o dei cammini esoterici. Non presuppone alcuna perfezione morale né tantomeno una evoluzione spirituale simile a quella biologica. Dice Santa Teresa d’Avila: “non ci si eleva se Dio non ci eleva”; per cui la mistica in quanto “esperienza” è la violenta, improvvisa irruzione di Dio nell’anima, la loro unione. I mistici parlano di “incendio d’amore”, di “illuminazione”, di “divinizzazione”, di dono di grazia immeritata e inaudita, indubitabile e incomprensibile al tempo stesso, eccelsa e folgorante, colma di fremente godimento trasformante. Non è necessario scrivere un trattato per spiegare che cosa significhi “grazia”. Basta far riferimento ad un termine di immediata comprensione: “gratis”. La mistica in quanto “disciplina teologica” si interessa di studiare le testimonianze di coloro che nella storia delle religioni hanno sperimentato quanto abbiamo appena detto e molto più. Nel corso dei secoli si sono proposte molte definizioni. La più completa è senz’altro quella coniata da P. Albert Deblaere. S. J.: La mistica è “L’esperienza diretta e passiva della presenza di Dio”.
Se trascuriamo le sciocche concessioni alla scienza profana, dobbiamo riconoscere che il teologo ha descritto il misticismo in forma corretta. Ora sarà chiaro che non si dovrà mai confondere l’iniziato, dīkṣita, con il mistico, né la via iniziatica, sādhana mārga, con il misticismo. In effetti la mistica appare solo là dove l’iniziazione arretra o scompare. Di fatto, al di fuori del cattolicesimo, del giudaismo e dell’islam sciita, il misticismo non esiste affatto. Se per caso i bhakta dell’induismo a qualcuno possono apparire simili ai mistici cattolici a causa delle loro effusioni d’amore, non si deve dimenticare che, a differenza dei mistici, i bhakta hanno il guru, la paramparā, il sādhana basato su yantra, mantra e altre tecniche.
Devadatta Kīrtideva Aśvamitra