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Śrī Śrī Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja

2. Introduzione alla Māṇḍūkya Upaniṣad

Bisogna capire cosa sono le correlazioni come quelle tra gli occhi e le forme, tra gli orecchi e il suono. Non li si consideri come due dettagli: gli occhi e le forme non sono due dettagli, sono un dominio di reciproca correlazione (sambandha). Se fossero due, entrambi sarebbero non esistenti, in quanto sarebbero reciprocamente dipendenti: gli occhi dipenderebbero dalle forme e le forme dagli occhi e la mutua dipendenza conduce a mutua non esistenza. Se ci sono entrambi, ciò significa che non sono due, ma sono un dominio di correlazione. Rifletti su questo: gli occhi e le forme sono una correlazione; orecchi e suoni sono una correlazione; un organo di senso e un oggetto dei sensi è una correlazione; la vista individuale e la cosa veduta è una correlazione, jīva e jagat è una correlazione. Ciò che accade nella correlazione è peculiare: il Vedānta dice che gli occhi e le forme sono la stessa cosa, l’uno non dipende dall’altro. Gli occhi sono le forme e le forme sono gli occhi; e in questo c’è un segreto. Se gli occhi sono forme, allora l’identità degli occhi in quanto occhi è falsa. Se le forme sono gli occhi, allora l’identità delle forme è falsa; questa è chiamata mutua equazione, cioè una correlazione. Allora quello che rimane è solo nirviśeṣa (senza distinzione). La verità comune è il tuo proprio essere, perché la comune verità degli occhi e delle forme non ha alcuna correlazione; la correlazione è fra gli occhi e le forme, che è quanto sperimentiamo. Non sperimentiamo il nirviśeṣa in quanto avente una correlazione; nel sonno profondo c’è nirviśeṣa, ma non c’è alcuna correlazione; quindi, la correlazione è sperimentata solo tra gli occhi e le forme. Se si dicesse: «Anche la comune verità tra occhi e forme soggiace a una correlazione, quindi, l’origine e la creazione non hanno forse una correlazione?» L’origine e la creazione hanno una correlazione, tuttavia l’esistenza dell’origine non ha correlazione. L’origine come origine ha una correlazione con la creazione e quella correlazione è onnicomprensiva. Non si deve parlare di particolari correlazioni, perché ogni correlazione è compresa nella correlazione tra l’origine e la creazione; l’origine, presa come un tutto, non è correlata. La correlazione c’è quando origine e creazione sono correlate. Gli occhi e le forme sono una data correlazione e così gli orecchi e i suoni, jīva e jagat, mentre l’origine e la creazione è la correlazione fondamentale onnicomprensiva, perché fondamentalmente c’è una correlazione origine-creazione. Anche nella creazione ogni cosa è in correlazione: i sensi e gli oggetti dei sensi, il pensiero e i suoi oggetti. Questa correlazione è descritta come gauṇam (descrittiva) ed ekatvam (unicità), e allo stesso modo s’intende la correlazione tra la descrizione (o nome), e i suoi dettagli. La correlazione fondamentale è come segue: ogni oggetto è passibile di descrizione, la descrivibilità di un oggetto non è una creazione umana, è la sua natura. In quanto oggetto è passibile di descrizione; tecnicamente si dice che ha jāti (nascita, genere, specie), guṇa (qualità), kriyā (azione)e sambandha (relazione). Il nome per descrivere gli oggetti è inventato dall’uomo per descriverli. Può essere stabilito proprio perché gli oggetti sono passibili di descrizione. L’uomo è portato a sondare gli oggetti perché li può capire e conforma a essi ogni parola del linguaggio. La parola non è una creazione umana, è una parte della creazione di Dio, una parte dell’universo. Il nome è detto abhidhānam e anche la descrizione è chiamata abhidhānam; l’oggetto descritto è abhidheyam. Il primo termine vuol dire ‘nome’ e il secondo ‘nominato’; è questo il modo in cui si può descrivere un oggetto. Tuttavia, abhidhānam e abhidheyam non si riducono propriamente a nome e nominato, perché quando diciamo questi due termini, gli esseri umani, essendo molto mediocri, li penseranno come fossero proprio un nome (nāma), ma non è così (aisā nahīṅ hai). Banana è un nome adatto alla banana, ma si possono scrivere volumi interi enumerando le sue qualità e questo modo complesso per descriverla è detto abhidhānam. Non è il semplice nome. Anche il corpo è abhidheyam, ogni pensiero, ogni emozione, l’intero saṃsāra, tutto ciò che può essere descritto è abhidheyam e ci sono molti nomi per tale descrizione. L’intero abhidheyam chiamato universo si proietta negli innumerevoli abhidheyam e si condensa in un unico abhidheyam che è l’origine chiamata Īśvara. Tutti gli abhidheyam si riducono a una origine, tutti i vasi si riducono all’argilla e l’argilla, come origine di tutti i vasi diventa l’abhidheyam di tutti. Similmente Parameśvara, come origine di tutti gli oggetti, come sostrato dei cinque elementi, dei sensi, della mente, è abhidheyam. Come può questa origine essere abhidheyam? Non è forse privo di jāti, guṇa, kriyā e sambāndha? Non ha jātiguṇa kriyā, ma ha sambandha. Il sambandha è la correlazione di origine-creazione com’è insegnato nella prakriyā (metodo); perciò gli innumerevoli abhidheyam si riducono a uno e gli innumerevoli abhidhānam si riducono a un abhidhānam chiamato Oṃkāra, che è l’abhidhānam per Īśvara. Se tutti gli innumerevoli abhidheyam si riducono a un unico abhidheyam chiamato Īśvara, allora gli innumerevoli abhidhānam si riducono a un solo abhidhānam, chiamato Oṃkāra. Così, quando si dice che Oṃ è l’abhidhānam per Īśvara e che include l’intero linguaggio descrittivo, l’intero linguaggio è rappresentato da Oṃ, perché se tutti gli abhidheyam sono non separati da un abhidheyam detto Īśvara, allora tutti gli abhidhānam sono non separati dall’abhidhānam di Īśvara chiamato Oṃkāra. Perciò Oṃkāra diventa l’abhidhānam e Parameśvara diventa l’abhidheyam. Questo Oṃ è una parola, un nome per descrivere. Non è propriamente il nome di Īśvara, è un termine che descrive Īśvara e fra Oṃ e Īśvara noi come jīva vediamo una correlazione e quest’ultima è gauṇam ed ekatvam, vera unicità. Perché la si chiama vera unicità? Perché anche se cerchi di spezzarla, non la puoi separare, non puoi rompere la correlazione tra abhidhānam e abhidheyam. Tra ogni nome e Īśvara c’è una correlazione, tra Oṃkāra e Īśvara c’è una correlazione e ogni correlazione è conosciuta all’uomo. Lo Śāstra non è un pramāṇa in materia di correlazione, perché essa è già conosciuta. Lo Śāstra non è un pramāṇa per quello che riguarda gauṇam ed ekatvam; lo Śāstra è un pramāṇa per quel che riguarda l’unicità ultima (mukhya ekatvam), e per questo afferma “Īśvara è Oṃ, Oṃ è Īśvara”. Se “Īśvara è Oṃ e Oṃ è Īśvara”, l’Īśvara come origine perde la sua identità in quanto origine e anche la parola come abhidhānam perde la sua identità in quanto parola. La mutua equazione cancella entrambi e questa è una cosa che si deve capire. Se A è B, B è A; se A è B, allora A perde la sua identità come A; e se B è A, allora B perde la sua identità come B. Se A è B e B è A, allora entrambi perdono la loro identità, avendo dietro solo nirviśeṣam. La mutua equazione cancella entrambi. L’equazione tra abhidhānam e abhidheyam cancella entrambi, lasciando dietro solo nirviśeṣam. È questo che il bhāṣyakāra definisce ekena prayatnena (sforzo unico). Con uno sforzo senza sforzo, con l’attenzione, l’uomo capisce il nirviśeṣam. Cioè come gli occhi sono correlati alla forma, la forma è correlata agli occhi; si può dire che gli occhi sono forme e le forme gli occhi, avendo dietro nirviśeṣam. Questa è la visione del Vedānta. Gli orecchi sono i suoni e i suoni sono gli orecchi, i sensi sono gli oggetti e gli oggetti sono i sensi. Sono tutte correlazioni. Nel momento in cui si affronta l’argomento di abhidhānam e abhidheyam, quello diventa la correlazione onnicomprensiva, perché ogni cosa può riferirsi a un abhidheyam: colore, suono, oggetto di gusto, di tatto e di olfatto, in quanto abhidheyam,tutti coinvolgono l’abhidhānam. Tutti gli abhidheyam si riducono a un unico abhidheyam chiamato Īśvaraetutti gli abhidhānam a un unico abhidhānam chiamato Oṃkāra; fra Oṃkāra e Īśvara c’è una correlazione, quindi la śruti dice che Oṃkāra è Īśvara e Īśvaraè Oṃkāra. Così Oṃ e Īśvara cancellano la loro propria correlazione. Quando l’Oṃkāra e l’origine, quando il nome e il nominato, quando Oṃ e Īśvara cancellano la loro propria correlazione, allora cancellano anche la correlazione tra ogni abhidhānam e ogni abhidheyam. Questa è la logica che sta dietro a ciò, come è spiegato dal nirviśeṣam. Dietro a tutte le correlazioni c’è il nirviśeṣam ed esso significa libero da tutte le relazioni, perché relazione significa solo correlazione. Moglie e marito sono associati, non correlati. Ognuno di essi esiste come individuo senza l’altro: quindi è una associazione (saṃsarga), non una correlazione. Ma tra gli occhi e le forme, tra i sensi e gli oggetti non c’è associazione; neppure tra jīva e jagat, perché jīva non può esistere senza jagat e jagat non può essere provato se non in correlazione con jīva. In questo modo possiamo dire che esistono solo come correlati e non si può usare l’espressione “essi esistono dipendendo l’uno dall’altro”. Questo è un linguaggio da missionario, da idiota: essi non dipendono uno dall’altro, ma sono correlati nel dominio della correlazione. La relazione (bhāva o bandhu) nome-aggettivo, non può essere detta correlazione (sambandha), è saṃsarga perché l’aggettivo di un dato nome può essere trovato da qualche altra parte, attributo di un altro nome. Quindi nome-aggettivo è una relazione, un bandhu. Ma le forme non esistono eccetto in correlazione ai miei occhi, e nessun suono se non in correlazione ai miei orecchi. Il fiore è rosso, ma il rosso può essere trovato da qualche altra parte, perciò tra nome e aggettivo non può esserci correlazione, c’è solo saṃsarga. Invece gli oggetti sono correlati ai sensi e quindi tra sensi e oggetti non c’è associazione, c’è correlazione. La correlazione più comprensiva è abhidhānam e abhidheyam. La forma è descrivibile e così il suono, il gusto, il tatto e l’odorato, ogni cosa che posso toccare e vedere è descrivibile; ogni particolare del saṃsāra è descrivibile. In quanto è descrivibile è abhidheyam e il nome che lo descrive è abhidhānam. Similmente, tra Oṃkāra e Īśvara c’è correlazione, non associazione; anche se è parte della creazione, Oṃ,come metodo, è uno strumento per svelare la verità. Oṃ,come metodo, per svelare la verità, è abhidhānam di Īśvara. Come sparisce la correlazione? Con l’equazione: A è B e B è A: A perde la sua ‘A-ità’ e B perde la sua ‘Bi-ità’ e quello che rimane è solo nirviśeṣam. Lo śābda pramāṇa, la śruti, fa capire che gli occhi e le forme sono entrambi nirviśeṣam. Quando si dice che gli occhi sono le forme e le forme sono gli occhi, la śruti sta indicando il nirviśeṣam, la verità di entrambi.

La Māṇḍūkya Upaniṣad usa il metodo abhidhānamabhidheyam (abhidhānābhidheya prakriyā); in essa si parla degli stati di veglia, di sogno e di sonno profondo. Questi tre stati, in quanto stati, sono ciò che si vede (dṛṣṭāntam)e il terzo, suṣupti, come nirviśeṣam, cioè in quanto propria presenza (svasattā), èciò che si deve vedere, ciò che si deve capire (darśāntam). I tre stati sono citati per indicare i tre stati, si mostra la verità per indicare la verità. Ciò significa che quello che si sperimenta qui è dṛṣṭāntam e quello che è indicato qui è ciò che è evidente. Dṛṣṭāntam significa ciò che è evidente e darśāntam indica l’argomento da vedere, da scoprire. Generalmente dṛṣṭānta-darśānta bhāva è usato dai tārkika, dai logici del Nyāya. Si dà un esempio per dedurre qualcosa. Il fumo è un indizio per il fuoco: c’è fumo, quindi deduco che c’è fuoco. Come lo si deduce? Perché l’ho visto da qualche altra parte e ogni volta che ho visto fumo c’era fuoco. Basandomi su quell’esperienza posso dire che se qui c’è fumo, deduco che c’è anche fuoco. Non vedo il fuoco, ma posso dedurlo. Ma nel Vedānta non c’è questo tipo di deduzione. Parliamo del jāgrat per indicare la verità del jāgrat, parliamo del sogno per indicare la verità del sogno, parliamo di suṣupti per indicare la verità di suṣupti. Perciò, nel Vedānta non c’è differenza tra dṛṣṭāntam e darśāntam. Dṛṣṭāntam sono i tre stati, darśāntam è la verità dei tre stati. Ciò che l’uomo sperimenta nella vita quotidiana è dṛṣṭāntam ed è per quello che la sua natura è tale; ma è per natura nirviśeṣam, perché le sue esperienze lo dimostrano. Così, esprimendo il suo nirviśeṣam diventa darśāntam. Quindi i tre stati sono dṛṣṭāntam e la natura di Ātman, in quanto illimitato, è darśāntam.

In altre parole Śaṃkara afferma che non c’è differenza tra dṛṣṭāntam e darśāntam, che significa che non si deduce affatto, ma si mostra solo ciò che è evidente. Quello che è sperimentato è la propria esistenza come sperimentatore dei tre stati e ciò che è espressa è la propria esistenza come essere cosciente illimitato. I tre stati sono menzionati e in quanto menzionati sono dṛṣṭāntam; ma la propria esistenza, indicata come non duale, diventa darśāntam. Quindi non c’è differenza tra dṛṣṭāntam e darśāntam.

Così la Māṇḍūkya Upaniṣad tratta dei tre stati e della loro verità. Ciò che è importante non è che la veglia, il sogno e il sonno profondo siano contati come tre stati, ma che la Māṇḍūkya Upaniṣad indichi che, in realtà, la terza avasthā deve essere inteso come il Quarto che è libero dai tre. Uno degli ostacoli per capire la Māṇḍūkya Upaniṣad è che l’uomo indietreggia e si rifiuta di procedere: infatti, finché non lo si capisce come Quarto, il terzo, che non è terzo, continua ad apparire tale. La veglia è uno stato, il sogno è un altro e il sonno profondo è il terzo, ma io non lo sperimento come terzo. Non c’è esperienza del terzo stato: c’è esperienza della veglia, c’è esperienza del sogno e c’è esperienza dello stato non duale, cioè del svarūpa, della propria reale Natura. Se il terzo non fosse il Quarto, quale sarebbe l’esperienza del Quarto? Qual sarebbe l’evidenza del Quarto? Qui sono lo sperimentatore della veglia, lì sono lo sperimentatore del sogno; e sperimento anche lo stato non duale. Dov’è l’esperienza del terzo stato, quando viene contato come terzo? Non c’è: è nella veglia che lo chiamo terzo stato. Questo è il punto cruciale della Māṇḍūkya Upaniṣad. Suṣupti che è universalmente considerato terzo, non è terzo, è in realtà il Quarto. Se il terzo non è il terzo, fate il piacere di capire che anche il primo non è il primo e il secondo non è il secondo; la numerazione sparisce e anche il primo stato è lo stesso nirviśeṣan, come anche il secondo è nirviśeṣan.

Per ignoranza l’individuo si rifiuta di guardare suṣupti come Quarto, come la propria presenza (sat bhava); non smette mai di considerarlo uno stato di oscurità (tamas). Al massimo, fa una deduzione logica e conclude: «Io ricordo lo stato di sonno profondo, quindi deve essere stata un’esperienza; ricordo che non c’era nulla, quindi forse non c’era nulla». Quindi guarda il sonno profondo come lo deduce dallo stato di veglia. Non si può dedurre il sonno profondo con la mente della veglia: si ricorda soltanto che lo si è sperimentato e nient’altro; perciò lo si continua a pensare come uno stato di oscurità, di nulla.

Il sogno è una percezione in cui sembra ci siano oggetti di percezione. La śruti dice che come il sogno è una percezione con oggetti di percezione, similmente anche la veglia è una percezione in cui sembrano esserci realmente oggetti di percezione. Il sogno è dṛṣṭāntam e jāgrat è darśāntam, ma alla fin fine entrambi sono darśāntam, perché la verità o l’eternità dell’uomo non è stabilita da alcun esempio in quanto non c’è nulla di eterno in questo mondo. Nessun oggetto è eterno, il che significa che ha sempre qualcosa di simile. Se l’eterno non ha alcunché di simile, non puoi attribuire qualcosa di simile all’eterno. In questo modo anche il sogno è darśāntam; si usa come dṛṣṭāntam per la veglia, ma il significato è darśāntam. La śruti insegna che il sogno è una percezione nella verità e che la veglia è una percezione nella verità. Perché dovremmo prenderli come percezione? Perché non li prendiamo come oggetti di percezione? C’è invero un problema a prenderli come oggetti di percezione. Il problema è il seguente: se la śruti chiama abhidhānam e abhidheyam mukhya ekatvam (unicità principale) e gli oggetti sono altro da me, allora abhidhānam e abhidheyam non possono avere mukhya ekatvam. Se c’è percezione, allora c’è connessione con me e descrivibilità; la sua descrizione, cioè il nome, è anche connesso a me. L’abhidhānam e abhidheyam sono entrambi connessi a me, e quello a cui sono connessi diventa mukhya ekatvam. Se la veglia è solo percezione, allora la veglia è connessa a me; se gli oggetti della veglia sono differenti e sono solo oggetti di percezione, allora la mia percezione è connessa a me, ma non agli oggetti. Mukhya ekatvam non potrebbe essere non duale se gli oggetti fossero separati; perciò è importante riconoscere che gli oggetti sono percezioni che sembrano oggetti. Così la percezione di veglia è connessa a me, non ha altra esistenza se non connessa a me-soggetto, se non connessa all’essere, alla persona. Come il sogno non ha esistenza se non connesso al me-soggetto, così la veglia è connessa a me. Quando io penso al nirviśeṣam dello stato di sonno profondo come l’origine del jāgrat e del svapna avasthā, anche questo pensiero è connesso a me: è insegnato dalla śruti, ma alla fin fine è il mio pensiero. Quindi abhidhānam, in quanto sintesi di tutti i nomi, è connesso a me, le percezioni non sono altro che pratyaya (credenze, idee, immaginazioni) e sono connesse a me. Il sogno è un pensiero (pratyaya) ed è connesso a me come ogni oggetto di descrizione; similmente anche il kārya-kāraṇa bhāva (relazione di causa-effetto), è un pensiero connesso a me. Oṃkāra, come parola, è connesso a me e anche nirviśeṣam, come origine di ogni cosa, è connesso a me. Quel kāraṇatvam (causalità) è connesso a me, perciò il mukhya ekatvam di abhidhānam e abhidheyam non è lì. Il mukhya ekatvam di abhidhānam e abhidheyam è la nostra propria esistenza: ciò che è insegnato è nirviśeṣam. In relazione alla veglia e al sogno, la percezione e denominazione è chiamata origine, perciò quello che è insegnato non è l’origine; quello che è insegnato è nirviśeṣam in quanto origine: quindi, l’origine è abhidheyam. Oṃ è abhidhānam ed entrambi sono connessi a me. Quindi se abhidhānam e abhidheyam devono essere uno, lo possono essere solo come nirviśeṣam, come il sostrato (adhiṣṭhāna) da cui essi hanno origine, e dove essi appaiono è mukhya ekatvam: è insegnato come origine e l’origine è intesa come nirviśeṣam. Il sonno profondo è nirviśeṣam e proprio lì inizia il jāgrat, lo svapna, l’individualità e l’assunzione di un corpo. Perciò la percezione della veglia e del sogno inizia nel proprio nirviśeṣam, che è anche il proprio anubhava. ‘Che inizia’ significa che quel nirviśeṣam è visto come origine di tutto e che è chiamato dalla śruti Īśvara. Tuttavia, ciò che è insegnato è nirviśeṣam e l’origine capita è nirviśeṣam. La corda è insegnata come origine del serpente, ma capita come origine è nirviśeṣam, è non duale. Quindi il mukhya ekatvam dell’abhidhānam e abhidheyam non è oggetto di speculazione. Come potrebbero la denominazione e gli oggetti avere un’unicità? Essi sono sempre correlati. Al loro livello sono correlati, ma anch’essi hanno mukhya ekatvam perché hanno una verità comune che, letteralmente, è l’unicità stessa. Perciò, non si può pensare che ci sia qualcosa al di fuori né si può dubitare del mukhya ekatvam dell’abhidhānam e abhidheyam. La denominazione è connessa al soggetto e così la percezione, altrimenti non hanno alcuna esistenza. Non ci sono percezioni non connesse o parole non connesse o denominazioni non connesse a colui che parla. Quindi è evidente che il loro mukhya ekatvam, la loro origine comune, è solo il proprio essere, e l’origine comune non è altro che abhidheyam, è il nirviśeṣam, insegnato come origine; e, di nuovo, l’origine comune non è altro che abhidheyam. Oṃkāra diventa abhidhānam e l’origine capita non è l’origine, è il nirviśeṣam in sé: il vero senso (tātparya) dell’origine è nirviśeṣam. Ciò che è insegnato ha l’apparenza di causa (kāraṇa), ma ciò che significa è nirviśeṣam. È insegnato come causa (kāraṇa), cioè come Īśvara, e ciò che è inteso (vivakṣitam)è il nirviśeṣam. Questo è descritto come origine, ma deve essere capito come nirviśeṣam. La śruti dice che è kāraṇa,ma ciò che intende è nirviśeṣam. L’intera creazione è essere come tutte le onde dell’acqua sono una; quello è mukhya ekatvam, l’unicità nel vero senso della parola. Perché quello che penso e il suo nome, entrambi hanno mukhya ekatvam. Mukhya ekatvam non è altro che abhidheyam, è nirviśeṣam; ogni abhidhānam e ogni abhidheyam hanno mukhya ekatvam in nirviśeṣam. Ogni uomo capisce la correlazione e vede che l’oggetto e il nome vanno sempre assieme. Infatti dice: «Sono sempre assieme, sono inseparabili». Il termine tecnico per quello è gauṇam ekatvam, dominio unico di correlazione. Dove c’è abhidhānam c’è abhidheyam; infatti ogni cosa che ha jāti, guṇa, kriyā e saṃbandha è descrivibile ed è in correlazione con il nome. Perciò abhidhānam e abhidheyam sono sempre correlati. L’uomo lo sa, pur definendoli in diversi modi, ma non ci può ragionare, non può usare la sua logica e immaginare che questi abhidhānam e abhidheyam, tra loro correlati, abbiano una unicità; non lo può pensare e, anche se lo pensa, pensa a quella unicità come a qualcosa fuori da sé, lontano dal suo essere e così ripetutamente fallirà nella sua indagine sulla verità. L’unicità di tutte le correlazioni è la verità e l’uomo non può eluderla, perciò śābda (le Upaniṣad)è il pramāṇa che la può spiegare in molti modi. L’uomo non può mai immaginare che questo universo sia una apparenza nell’illimitato. Innanzitutto non crede neppure che ci sia qualcosa d’illimitato. Ogni cosa è in connessione con l’osservatore; quell’origine, quell’essere illimitato sei tu, perché ciò che è evidente è che tu non vedi il pratyākṣa (la percezione)connesso ad altro pratyākṣa, ma vedi l’intero pratyākṣa sempre e solo connesso a te. Perché l’uomo non può figurarsi che ogni cosa sia connessa a sé? Perché pensa che gli oggetti siano indipendenti da lui. Al contrario, la śruti afferma che sono sue percezioni; in quanto percezioni sono connesse a lui, ma sono differenti da lui in quanto oggetti di percezione. Nel sogno gli oggetti del sogno sembrano oggetti di percezione e, in quanto tali, appaiono separati dal sognatore; invece, come percezioni sono sempre connesse al sognatore. Le percezioni sono tutte connesse a colui che vede e quindi, fintanto che le percezioni gli sembrano oggetti di percezione, non potrà mai pensare che quelli che appaiono come oggetti non siano oggetti di percezioni, ma solo sue percezioni.