Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja
19. La luce della Realtà
129. Dire che non c’è Pura Coscienza è un sofisma
Obiezione: Pura Coscienza significa una conoscenza senza alcuna qualità, senza soggetto e oggetto. È impossibile per tale conoscenza esistere perché nessuno ha mai visto un oggetto senza una conoscenza. Esistenza e conoscenza sono due parole che denotano una qualche relazione e non è possibile includere queste due solo nella conoscenza. Quando ha luogo una conoscenza, deve essere di un tipo particolare, considerato attributo di quella conoscenza. Se non gli si vuole dare un altro attributo, si deve almeno accettare che l’attributo dell’esistenza sia in essa. Quindi è una pura fantasia pensare che ci sia una conoscenza senza alcun attributo, soggetto, oggetto, divisione o altra differenza.
Risposta: l’esperienza del sonno profondo è sufficiente per capire che questa logica è dovuta al pregiudizio della veglia. Quando si ha l’esperienza di Pura Coscienza nel sonno profondo, negarla con un sofisma è irragionevole. Anche negli stati come la transe [samādhi], coma e svenimento c’è un’esperienza di Pura Coscienza. Se si chiede a chi si sveglia da quegli stati, di spiegare la sua esperienza, risponderà di non aver conosciuto nulla come in sonno profondo. Quegli stati non sono sperimentati da tutti, ma solo da alcuni. Al contrario, l’esame del sonno profondo, comune a tutti, è sufficiente al nostro scopo.
Se esaminiamo l’esperienza del sonno profondo, capiremo che lì c’era solo un nirvikalpaka anubhava, una esperienza priva di emozioni, senza oggetto e divisione. Questo è ciò che noi chiamiamo Pura Coscienza. Non è corretto respingere solo con la logica quello che è fermamente basato sull’esperienza. Riguardo al dubbio di non avere mai visto la Pura Coscienza da nessuna parte, affermiamo che questo capita a chi non capisce che cos’è la Pura Coscienza, perché essa non è un oggetto che possa essere visto. La conoscenza che abbiamo di qualcosa non è Pura Coscienza. È Pura Coscienza il Sākṣin che illumina e testimonia sia la veglia sia il sogno. Come si è affermato nel precedente capitolo, veglia e sogno sono apparenze che sorgono e scompaiono nella Pura Coscienza. Questa verità è solo Pura Coscienza. Se la Pura Coscienza è tutto e la fine di tutto, cosa c’è di sbagliato nel non vederla come un oggetto? Questo prova forse che la Pura Coscienza, che è la nostra vera natura, non esiste affatto? Tenendo a mente che la Pura Coscienza non è un oggetto, errori come questo non devono accadere. Se la Pura Coscienza non è un oggetto non la si deve neppure intendere come soggetto; perché dove non c’è oggetto che senso ha che ci sia un soggetto? La Pura Coscienza appare in veglia e in sogno come Testimone (Sākṣin) e testimoniato (sākṣya), pur rimanendo nella sua natura essenziale. Ma in sonno profondo non c’è neppure la falsa apparenza del Testimone e del testimoniato. Questa Pura Coscienza è comunemente chiamata sonno profondo.
130. La Pura Coscienza non è né mutevole né immutabile né è distinta per qualità, numero e forma
L’Ātman è libero da ogni distinzione (vikalpa) di tempo, spazio, causa, io, tu, soggetto, oggetto ecc., e ciò implica che non è né mutevole (savikāra) né immutabile (nirvikāra). Perché non è mutevole? Perché sembra mutevole a coloro che pensano che il sonno profondo sia uno stato dove c’è solo Pura Coscienza senza alcuna divisione tra soggetto e oggetto e che, negli stati di veglia e di sogno, si modifichi in soggetto e oggetto. Ma il Sākṣin che testimonia tutti e tre gli stati è immutabile. Ora poniamo una domanda a coloro che pensano sia mutevole. Cosa intendete quando dite che la Pura Coscienza che è libera da tempo e spazio, ma che è la loro Realtà, è sottomessa a cambiamento? Come si modifica se non ha parti o divisioni? Di fatto, la Pura Coscienza soltanto appare come sonno profondo, sogno e veglia e non si modifica in essi, perché non c’è alcuna ragione interna né fattore esterno che possa causarle un cambiamento. Per meglio dire, è priva di tutti e tre i generi di differenze: vijātīya bheda (la differenza tra gli appartenenti a due categorie differenti); sajātīya bheda (la differenza tra gli appartenenti a una medesima categoria); e svagata bheda (la differenza che si trova fra le parti di un singolo appartenente a una categoria). È impossibile immaginare che tale indivisibile Coscienza sia mutevole.
Possiamo chiamarla immutabile, dato che nessun cambiamento è possibile nella Pura Coscienza? Dapprima cerchiamo di capire il significato della parola immutabile. Generalmente si usa l’espressione ‘senza cambiamento’ per riferirsi a cose che esistono nel tempo, ma che non sembrano cambiare o decadere con il passare del tempo. Per esempio quando diciamo ‘se ben conservata una banana può rimanere fresca anche per un mese’, sebbene ci siano alcuni cambiamenti invisibili interni o esterni, la definiamo fresca o senza cambiamenti nel senso che non è ancora marcita. La Pura Coscienza non è immutabile in questo senso, perché non c’è alcuna ragione esterna o interna che possa causarle un cambiamento. La Pura Coscienza illumina l’intero mondo di oggetti a cui appartiene questa divisione di cambiamento e di non cambiamento. Osservando con attenzione il cambiamento, la causa dei cambiamenti, come il tempo ecc., in breve l’intera moltitudine di oggetti, tutti sono soltanto in questa Pura Coscienza non duale. Le parole mutevole e immutabile valgono per gli oggetti, ma non per la Pura Coscienza. Le proprietà degli oggetti come uno (eka) e molti (aneka), forma (sākāra) e senza forma (nirākāra), con attributi (saguṇa), senza attributi (nirguṇa), non possono essere attribuite alla Pura Coscienza, e neppure la dicotomia di soggetto-oggetto.
131. Dubbi sull’ignoranza della Pura Coscienza
Si chiama sonno il non conoscere la Pura Esistenza. In questa affermazione ci sono i seguenti due punti: tutto ciò che esiste è solo Pura Coscienza, ma la gente non la conosce. Il secondo punto è che, non conoscendola correttamente, la si considera erroneamente sonno. Qual è la ragione di questi due punti? La non conoscenza (§ 133) e l’errata conoscenza (§ 132). Oltre a ciò che si è detto nel § 128, ci sono sei dubbi riguardanti l’ignoranza.
- Che cosa s’intende con conoscenza corretta della Pura Coscienza?
- Qual è la causa del non conoscere la Pura Coscienza (§ 133)?
- Solo perché la gente non la conosce, perché la dovrebbe concepire erroneamente? Qual è la causa di ciò (§ 134)?
- Come la si può conoscere correttamente (§ 135)?
- Se la Pura Coscienza dovesse essere conosciuta, diventerebbe un oggetto di conoscenza. Ciò contraddirebbe il fatto che la Pura Coscienza non è un oggetto. Sostenendo il punto di vista per cui la Pura Coscienza conosce tutto, quando si dice che essa deve essere conosciuta, non si è in contraddizione con la precedente affermazione (§ 135)?
- Anche se si volesse ammettere in qualche modo la conoscibilità della Pura Coscienza, come si può concludere che è la conoscenza ultima e che questa non sarà negata da un’altra conoscenza (§ 136)?
Se non si risponde a queste domande, ciò che è stato detto prima, ossia che la Pura Coscienza è pensata come sonno profondo, sarebbe senza senso.
132. Varie forme di ignoranza
Risposta al primo dubbio: non conoscenza (ajñāna) ed errata conoscenza (mithyā jñāna) sono chiamate entrambe avidyā in sanscrito. L’incertezza espressa con ‘può essere’, ‘può non essere’ è, invece, chiamata dubbio (saṃśaya). Dire ‘può essere’ è una probabilità (sambhāvanā); dire ‘può non essere’ è una improbabilità (asambhāvanā). Queste sono le varianti della non conoscenza. Un’idea sbagliata, detta viparīta bhāvana, è anch’essa una forma di non comprensione.
Ciò che è un’istintiva non comprensione è anche errata comprensione, perché non sono diverse tra loro dato che sono causa ed effetto in senso figurato e non reale (BV I.4.3086).
La presenza del dubbio implica una non comprensione; allo stesso modo, la presenza di errata conoscenza implica la stessa cosa. Così, quando si deve stabilire la radice di entrambe, la si dovrebbe dire non comprensione (BV I.4.440).
Quindi si dovrebbe esaminare per prima cosa l’avidyā della non comprensione (agrahana). Questa avidyā, della categoria della non conoscenza, è ben nota e riguarda gli oggetti esterni. Per esempio, quando eravamo bambini non conoscevamo molte cose e, crescendo, ne abbiamo conosciute sempre di più. Gli scienziati, gli studiosi e gli artisti conoscono più di altri. Tuttavia, non è un’esagerazione dire che ci sono più cose sconosciute che conosciute. C’è un famoso detto a questo riguardo:
I libri di conoscenza sono molti e la conoscenza che deve essere appresa è molto vasta; ma la nostra vita è breve e gli ostacoli sulla via sono troppi. Quindi si dovrebbe conoscere l’essenza di tutta la conoscenza come il cigno che estrae solo il latte scartando l’acqua (Bartṛhari, Nitiśatakam).
Queste sagge parole non sono solo un insegnamento morale, ma anche l’affermazione del fatto che ciò che l’uomo non conosce è illimitato.
Alcuni punti di quello che gli eruditi conoscono non sono spiegati logicamente. Cercano di capire la verità di cose come la materia, la mente, l’energia, la coscienza, il tempo, lo spazio, la causa ecc., ma non ci riescono. Quindi hanno cercato di costruire le loro conoscenze specialistiche prendendo per certo il modo in cui tali cose appaiono alla loro esperienza di vita empirica. Questa è avidyā in quanto non conoscenza degli oggetti. Similmente, i pensatori hanno indagato a lungo per capire che cosa sia la Pura Coscienza, ma non sono arrivati ad alcuna conclusione. Alcuni dicono che non esiste affatto. Altri sostengono che senza considerare la natura specifica di ‘la mia conoscenza’, ‘la tua conoscenza’ o ‘tale conoscenza’, quando si capisce la conoscenza in senso generale, quella è la Pura Coscienza. Allo stesso modo, coloro che senza conoscerla la immaginano in vari modi, non l’hanno capita. Questa è l’avidyā di non conoscere l’Ātman. La non conoscenza o assenza di conoscenza (agrahanam) è il nostro stato mentale nella veglia.
Discutiamo ora su mithyā jñānam, cioè l’errata conoscenza o falsa conoscenza. È ben risaputo da tutti che c’è un’ignoranza degli oggetti esterni. Per esempio, comunemente scambiamo una corda per un serpente, una conchiglia per argento o l’allume per zucchero. Sebbene la mente percepisca le sensazioni di suono, colore ecc. che arrivano tramite gli organi di senso, la conoscenza dell’oggetto non avviene finché l’intelletto non organizza tali sensazioni in un’immagine e constata che l’oggetto è ‘così e così’. Per esempio, l’intelletto che sa che un mango deve essere di tal colore, gusto e tatto, lo riconosce non appena lo vede da una certa distanza. Ma talvolta confonde un mango di plastica con un mango reale. Duryodhana, guardando il palazzo di Yudhiṣṭhira, prese una porta per un muro e un muro per una porta, il pavimento per acqua e acqua per pavimento1. Tutti questi sono casi di comprensione errata. Talvolta vediamo la luna doppia o molteplice, a causa di un difetto dell’occhio. Questi errori sono solo conoscenze errate di oggetti esterni. Allo stesso modo, non conoscendo la Pura Coscienza, in modo istintivo la gente la considera erroneamente come veglia o sogno. Non conoscere (agrahana) laPura Coscienza è sonno profondo. Questa può essere chiamata ignoranza causale (kāraṇa avidyā). Concepire anche la Pura Coscienza come io e tu, vero e falso, costituisce l’apparenza della veglia e del sogno; questo è prodotto dell’ignoranza (kārya avidyā). Così afferma Gauḍapāda:
Veglia e sogno sono detti limitati da causa ed effetto in quanto non comprensione e comprensione errata. Ma il sonno profondo, prājña, è limitato dalla causa (cioè solo dalla non conoscenza). Tuttavia, nessuna di esse è in Turīya (MUGKŚBh I.11).
Non conoscere (la verità) come mera assenza [in sonno profondo], non può causare alcun male; ma, quando la stessa assume la forma di non comprensione [in veglia e in sogno], causa mali senza fine. La Realtà, cioè la Pura Esistenza-Coscienza, non ha alcuna divisione. Distinguere in essa me e il resto, pensare che il mondo esterno sia sempre esistente, pensare di essere un piccolo essere che vive in esso per un breve tempo, attribuirsi la natura degli oggetti e sovrapporsi le proprietà degli oggetti (nascita, crescita, decadenza e morte), sono tutti contributi dell’erronea conoscenza, prodotti dell’ignoranza (kārya avidyā). I Vedāntin chiamano tutto questo adhyāsa, sovrapposizione. Questa conoscenza erronea è solo una proprietà della mente (antaḥkaraṇa).
133. Non c’è alcuna causa per l’ignoranza causale
Risposta al secondo dubbio: qual è la ragione per cui non si conosce la Pura Coscienza? Questa domanda implica che ci dovrebbe essere una qualche causa per l’ignoranza di qualcosa; ma ciò non accade nella vita, perché l’ignoranza è innata; la conoscenza si ottiene con l’osservazione di Sé e con gli insegnamenti di altri. Questo è comunemente accettato dagli esperti di tutti i rami del sapere: ogni esperto si preoccupa di insegnare la sua propria materia, ma nessuno si pone il problema di perché la gente non la conosca. Allo stesso modo è normale aspettarsi che il Vedānta riveli la verità, ma non è ragionevole che spieghi la causa della non conoscenza della verità. È giusto accettare che quest’ignoranza sia naturale come qualsiasi altra ignoranza. Inoltre, chi non conosce il Brahman non si chiederà mai qual è la causa della propria ignoranza.
Obiezione: perché no? Se io sono Pura Coscienza nella mia natura, sorge naturalmente la domanda del perché ci sia assenza di conoscenza nella mia natura.
Risposta: la persona che s’identifica con la mente è detta ignorante e l’identificazione avviene solo nello stato di veglia. Perciò la veglia, con il suo punto di vista, è ignoranza. Quando c’è ignoranza, una persona non ha nessuna conoscenza di essere Pura Coscienza. Nello stato d’ignoranza la persona sempre pensa che il suo stato sia naturale e non acquisito o estraneo o temporaneo. Perciò la conoscenza di poter essere Pura Coscienza non è né immaginabile e neppure sospettata. Anzi, la conoscenza erronea di essere il possessore del corpo sembra essere la giusta conoscenza. Quindi non c’è motivo per tale domanda. E, ancora, quando una persona esamina i tre stati secondo il metodo vedāntico, capirà che è sempre Pura Coscienza nella sua natura, e che non c’è mai stata alcuna ignoranza in nessun tempo. Sūreśvara dice:
Con l’insorgere della conoscenza di sé si constata che non c’è mai stata alcuna avidyā né prima né ora né in futuro (Sambandha Vārttika, 183).
Quindi, dopo l’insorgere della conoscenza, nessuno porrebbe tale domanda e la domanda sulla causa di avidyā è soltanto un sofisma. Alcuni vedāntin posteriori, che sono più orientati a spiegare con la logica piuttosto che con l’esperienza, sostengono che c’è una anādi āvaraṇa, cioè un velo senza inizio, a causa della mūlāvidyā, che ricopre l’Ātman. Da ciò sorge l’ignoranza della non conoscenza, della conoscenza errata e anche del mondo. Essendo questa presente in tutti e tre gli stati, può andar via solo dopo l’insorgere della conoscenza. Essi solo speculano su questa ipotetica mūlāvidyā. L’argomentazione che portano a difesa della loro ipotesi è che il mondo intorno a noi consiste di conoscenza reale di oggetti reali. Tale mondo reale necessita di una causa reale, senza la quale tale mondo di oggetti reali o sostanziali non può nascere e apparire. Per esempio, il serpente che appare sulla corda, non sarebbe una mera fantasia, ma qualcosa che appare realmente e causa paura. Deve essere nato realmente per apparire e influire su di noi. Un serpente reale non può nascere senza una causa reale che esista prima di esso.
Commento al loro punto di vista: le loro ipotesi e argomentazioni sono sbagliate. Il mondo non è un’altra entità nata ed esistente assieme a Brahman, ma solo una forma di errata conoscenza di Brahman, quindi non necessita di alcuna causa.
- Se il mondo comprende cose reali e irreali, non è corretto prenderlo come comprensivo solo di cose reali; su questa base è sbagliato argomentare che ci debba essere una causa reale.
- Dato che tempo e spazio, causa ed effetto appaiono solo con il mondo, cercare un’altra causa preesistente al mondo è contrario a qualsiasi obiettività (ativāda). Essi anche dicono che questa mūlāvidyā esiste nella veglia e nel sogno e, dato che la serie temporale è differente per ogni stato, qui sorge la domanda a quale di queste serie temporali questa ignoranza causale (kāraṇa avidyā) appartenga. A ciò non sanno dare alcuna risposta.
- Proprio l’errata comprensione dovuta alla non conoscenza del Brahman è la base della relazione causa-effetto. Perfino parlare di una causa è solo un’idea errata e prova che non hanno alcuna idea di cosa sia la relazione causa-effetto.
- I nomi e le forme immaginate dall’ignoranza nell’Ātman appaiono solo nell’Ātman finché non sono rimosse dalla conoscenza della Realtà. L’ignorante immagina anche che questi nomi e forme rimangano nascosti o in forma potenziale nel sonno profondo, come pure nella dissoluzione del mondo.
Questo seme potenziale di nomi e di forme è chiamato in vari modi nella śruti e nelle smṛti come māyā, seme, potenza o prakṛti (BSŚBh II.1.14).
Non conoscendo tale segreto, alcuni vedāntin post-śaṃkariani chiamano questa ignoranza mūlāvidyā,ignoranza causale. Tuttavia, l’equazione di māyā con avidyā non si trova da nessuna parte nel Bhāṣya.
- Mūlāvidyā è soltanto un’ipotesi che non si accorda né con l’esperienza né con la ragione. Questo ostacolo alla verità è discusso dettagliatamente nel testo sanscrito Mūlāvidyā Nirāsā o Śaṃkara Hṛdaya e nel suo abrégé intitolato Śaṃkara Siddhānta2 di Svāmī Satchidānandendra Sarasvatī Mahārāja.
134. L’ignoranza della Realtà è innata
Risposta al terzo dubbio, che dice: solo perché non conosciamo la Realtà, perché dovremmo conoscerla erroneamente? Non conosciamo molte cose, ma questo non vuol dire che le abbiamo conosciute erroneamente. Semplicemente diciamo: ‘Non le conosco’. Nel caso della Pura Coscienza, solo per il fatto di non conoscerla, perché dovremmo vederla come il mondo di conoscenze diverse e dei loro vari oggetti?
Risposta
- Non c’è alcuna causa, perché la falsa conoscenza della Realtà è tanto istintiva quanto la sua non conoscenza. Quando diciamo che l’errata conoscenza è dovuta alla non conoscenza, non intendiamo che essa sia causata dalla non conoscenza o che l’una segua l’altra nel tempo. Intendiamo solo dire che quando non si conosce c’è un’errata conoscenza che, per coloro che conoscono veramente, non c’è affatto. È solo in questo senso che chiamiamo causa l’ignoranza e suo effetto la conoscenza errata. Per esempio, quando diciamo che il latte, essendo un liquido, assume la forma del contenitore, non intendiamo, nel senso di causa-effetto, che la liquidità del latte venga prima e che la sua natura di assumere la forma del contenitore venga dopo. Similmente, quando diciamo che una errata o falsa conoscenza è dovuta alla non conoscenza, intendiamo solo dire che fra le due forme di ignoranza non c’è una relazione di causa-effetto (nimitta–naimittika). Cioè la non conoscenza è un contesto, un’occasione o condizione in cui lì avviene la falsa conoscenza. Tuttavia, ciò non significa che ogni qual volta c’è non conoscenza ci debba essere necessariamente anche un’errata conoscenza; perché in sonno profondo non c’è conoscenza della Realtà, ma non c’è falsa conoscenza di essa. Ciò è detto solo dal punto di vista sbagliato della veglia, in cui la falsa conoscenza va sempre assieme alla non conoscenza. Perciò, entrambe le forme d’ignoranza sono istintivamente presenti lì e, quindi, una non è veramente la causa dell’altra.
- Per la natura particolare della mente, la gente guarda ed esamina le cose solo dal punto di vista della veglia. Per costoro la Realtà non esiste mai e in essa soltanto appaiono differenze e divisioni. Questa è avidyā; ma c’è una differenza tra l’ignoranza degli oggetti esterni e quella dell’Ātman-Pura Coscienza. L’ignoranza degli oggetti esterni esiste nel tempo e scompare a un certo punto del tempo. Quando l’ignoranza degli oggetti esterni è distrutta dalla conoscenza esterna prodotta dai pramāṇa, la conoscenza che insorge è: «Finora non lo conoscevo, ora lo conosco». Il che prova che il tempo limita la natura dell’ignoranza.
La nozione dell’io, ossia dell’individualità, che è la base per la conoscenza di tutti gli oggetti esterni, è essa stessa una falsa conoscenza dovuta alla non conoscenza dell’Ātman. Questa ignoranza, diversamente da quella precedente, soggiace a tutta la nostra vita empirica, quindi non è legata al tempo, è senza inizio e senza fine. Perciò conosciamo l’Ātman attraverso la nostra esperienza diretta, che include tutta la vita empirica, tempo compreso. Quandoè intuito, questa ignoranza non è distrutta come la precedente, ma si capisce che essa non è mai esistita. La stessa mente ha anche un’altra natura. Se guarda del punto di vista dell’esperienza universale che è nei tre stati, capisce la Realtà correttamente come Pura Esistenza e Coscienza, e l’ignoranza scompare. Questa conoscenza è vidyā. - Dato che spazio, tempo, condizioni ecc. compaiono solo dal punto di vista dell’ignoranza, anche la relazione causa-effetto ricade solo nella conoscenza errata. Quando ci interroghiamo sulla causa dell’ignoranza, stiamo cercando di rendere avidyā qualcosa di differente da noi. Ciò è impossibile, perché per porre questa domanda si deve considerare la mente (antaḥkaraṇa) come se stessi, il che è avidyā. Quando si capisce di essere liberi dall’identificazione con la mente dopo l’insorgere della conoscenza, neanche allora si può porre questa domanda, perché in assenza dell’ignoranza non esiste alcuna relazione di causa-effetto. Perciò cercare la causa dell’ignoranza è un’aberrazione della logica o della mente.
- Il palazzo di Yudhiṣṭhira era stato adornato da Viśvamitra con dipinti trompe-l’oeil [N.d.C.].[↩]
- Svāmī Satchidānandendra Sarasvatī, L’autentica dottrina di Śaṃkara sull’ignoranza. Avidyā Śaṃkara Siddhānta, traduzione italiana di Maitreyī, Milano, Ekatos Ed. Pr., 2019; https://vedavyasamandala.com/testi/tradizione-hindu/vedanta/[↩]