Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja
10. Commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad e alle Kārikā di Gauḍapāda
Agama Prakaraṇa
Mantra 6 Kārikā I. 1
Se non vedi le prove di ciò che viene insegnato, allora ciò che viene insegnato rimarrà un pensiero, un’altra immaginazione.
6. Eṣa sarveśvara eṣa sarvajña eṣa antaryāmyeṣa yoniḥ sarvasya prabhavāpyayau hi bhūtānām ‖
Questo è il Signore (Īśvara) di tutto; questo è onnisciente; questo è il regolatore interno (di tutto); questo è l’origine di tutto; questo è certamente il luogo di origine e di dissoluzione di tutti gli esseri.
Tutti gli oggetti si riducono all’unica origine comune. Come tutte le onde si riducono all’acqua, tutti gli oggetti si riducono alla loro sorgente, il Brahman, il nirviśeṣam, l’origine di tutto, chiamato Īśvara. Sei tu, che sei chiamato genitore quando sei in relazione con tuo figlio, il nirviśeṣam; quindi, ovunque ci sia una relazione, il nirviśeṣam è passibile di una descrizione tramite la parola. Per favore, descrivi l’incolore in termini positivi, in un linguaggio affermativo; ‘incolore’ è un termine correttivo. Se qualcuno pensa che l’incolore sia colorato, allora la śruti ti viene a dire: “Mio caro signore, ciò che vedi come colorato è in realtà incolore”; ora per favore descrivi l’incolore con un termine affermativo, positivo; la libertà dal colore non può mai essere descritta a parole diversamente da quello di ‘è libero da’. Se per errore prendi l’incolore per colorato, allora la Śāstra viene a dire che è incolore e corregge il tuo pensiero. Qual è la spiegazione del colore? È un’apparenza, è una percezione, è un tuo errore, è un’illusione, ma, mentre il colore è una percezione, l’incolore è il Fatto. E la relazione tra il cristallo incolore e il colore è l’origine, è la creazione: cioè la relazione tra il fatto e l’illusione, tra la realtà e la falsità. Anche questa è una relazione, una falsa relazione. Ovunque ci sia una falsa relazione, la si chiama adhyāropa dṛṣṭi ed è passibile d’essere descritta tramite il linguaggio: si tratta del Fatto messo in relazione con l’illusione. Anche la verità in relazione al falso è descrivibile col linguaggio.Allo stesso modo tutti gli oggetti si riducono al nirviśeṣam, sono fatti di nirviśeṣam, sono percezioni nel nirviśeṣam, come il colore è una percezione dell’incolore. Vedi un colore nel cristallo incolore: perché lo vedi? Perché non lo vedi come incolore, non c’è altra ragione. Non è che un qualche potere ti costringa a vedere il colore nell’incolore, nessuna forza può esercitare una tale pressione su di te. Vedi il colore nell’incolore perché non vedi il cristallo come incolore. Vedi la terra piatta perché non capisci come non sia piatta, mentre invece la terra nella sua interezza è rotonda come un pallone. Pertanto, c’è una sola ragione per una percezione errata: la mancata comprensione della realtà. Allo stesso modo vedi molti oggetti perché non vedi il nirviśeṣam che è la loro realtà comune. Vedi gli oggetti all’interno del nirviśeṣam privo di oggetti, come vedi il colore nel cristallo incolore. Quindi, come tutti i colori sono visti nel cristallo incolore, così si riducono all’incolore perché sono fatti di incolore, sono visti nell’incolore, sono sognati nell’incolore, sono una percezione illusoria nell’incolore, sono una falsa percezione nell’incolore; diciamo pure che è una creazione nell’incolore, pur essendo la sua sostanza il cristallo incolore. Tutti i colori si riducono al cristallo incolore, all’incolore; i colori non si riducono alla semplice assenza di colore, ma tutti i colori si riducono al cristallo incolore. In questo modo, tutti i colori chiamati oggetti, tutti i suoni chiamati oggetti, tutti i sapori chiamati oggetti si riducono a un unico essere incolore chiamato Realtà, il nirviśeṣam. Quest’ultimo non è qualificato dalle forme o dai colori, dai suoni o dai sapori, dal tatto o dagli odori: tutto ciò è visto nel nirviśeṣam, non è un aggettivo del nirviśeṣam. Vedo i colori nel cristallo incolore, ma i colori che vedo non diventano i colori del cristallo, sono solo percezioni. Non è: è solo la tua percezione. I colori non hanno esistenza se non come tua percezione, come il sogno non ha esistenza se non come tua percezione, il miraggio non ha esistenza se non come tua percezione; infatti la śruti dice che anche l’universo non ha esistenza se non come tua percezione e questa tua incorporazione non ha esistenza se non come percezione. Dove viene percepito? nel nirviśeṣam. Quindi il nirviśeṣam, come sostanza di tutti gli oggetti, è chiamato Īśvara. Il nirviśeṣam, come il Fatto in pace dietro tutte le forme agitate, come il Fatto assolutamente pacifico dietro tutti gli oggetti, la sostanza per tutti gli oggetti, il nirviśeṣam-Brahman è chiamato Īśvara. Non sono due: è che il nirviśeṣam dal punto di vista degli oggetti è chiamato Īśvara, che è un cristallo incolore; ma come fonte di tutti i colori è Īśvara. Quindi tutti gli oggetti si riducono a Īśvara, il nirviśeṣam trattato come origine. Se tutti gli oggetti si riducono alla loro sostanza chiamata nirviśeṣam-Brahman, allora tutti i nomi si riducono a quel nome di Īśvara chiamato Oṃ. Così, come tutti i colori si riducono al cristallo incolore, anche tutti i termini che si usano per i colori, verde, giallo ecc., si riducono al nome del cristallo incolore come origine dei colori che è chiamato Oṃ. Così come tutti gli oggetti si riducono a Īśvara, tutti i nomi degli oggetti, le descrizioni degli oggetti si riducono alla descrizione di quell’Īśvara chiamato nome. Così tutti i nomi si riducono a un nome, tutti gli oggetti si riducono a un Fatto chiamato Īśvara. Quindi Oṃkāra è nome e Parameśvara è nome. Ora, ovunque ci sia una relazione nome-nominato lì c’è sempre una correlazione. Una correlazione è una relazione molto interessante che non si può rompere; una correlazione non si può rompere, perché l’uno dei due termini senza l’altro non può essere pensato, non c’è alcuna prova che l’uno esista senza l’altro. Dunque, la relazione nome-nominato è una correlazione; e una correlazione non ha esistenza se non come percepita da chi vede. Tu vedi la correlazione tra il nome e il nominato perché vedi anche che il nome non può esistere senza il nominato e il nominato non può esistere senza il nome. Lo Śāstra viene a rompere questa correlazione, dicendo che il nome è il nominato e il nominato è il nome. In questa equazione entrambi perdono la loro identità di nome e di nominato. E se il nome è il nominato, allora il nome non è nome; così se il nominato è il nome allora anche il nominato perde la sua identità come nome. Se sono letteralmente uno, ora sono di fatto un unico dominio di correlazione; Un dominio di correlazione è trattato dagli Sāstra come un’unità in senso letterale e questa unità letterale è possibile solo come nirviśeṣam; come due onde sono letteralmente una in quanto acqua. La creazione è ancor più in forma di correlazione. Gli occhi e le forme sono una correlazione. Si può dire che gli occhi sono le forme e le forme sono gli occhi, il che significa che sono letteralmente uno come nirviśeṣam. La creazione non è sotto forma di un mucchio di cose, la creazione è sotto forma di una relazione. L’io, l’individuo, il Tizio ‘così e così’ e l’universo: questa è correlazione. Il jīvatvam non può esistere senza jagat e jagat non può esistere senza il jīvatvam, quindi il jagat, l’universo e l’individualità sono letteralmente una cosa sola in quanto nirviśeṣam, l’Essere cosciente. Allora non devi pensare che Parameśvara sia lontano: tutto questo è effettivamente Brahman e tutto questo è Oṃ, cioè il nome; e tutto questo è il Brahman, cioè il nome e il nominato sono letteralmente uno. Questo è il senso (tātparyam); se sono letteralmente uno, l’unità tra il nome e il nominato è nirviśeṣam. Non è associazione, l’unità non è un tipo di unione separabile, l’unità è diversa dall’unione. Nel sonno profondo c’è unità: lì si è liberi da tutte le correlazioni e dove c’è libertà da tutte le relazioni, quella è unità. Perciò il “nome è il nominato” e il “nominato è il nome”: questo è il modo per annullare la correlazione. Il nome annulla la sua identità di nome quando dico che “il nome è il nominato”, cioè non è il nome; e “il nominato non è il nominato ma è il nome”, significa che entrambi si annullano a vicenda lasciando dietro di sé solo il nirviśeṣam. Questo è un esempio scritturale per annullare l’identità di qualcosa: se ci sono A e B, e A ha una certa identità come anche B ha una certa identità, affermare che A è B significa che A non è A, ma che B è A. Ciò comporta anche che B non è B e, allo stesso tempo, entrambi sono identificati l’uno con l’altro. Vale a dire che si annullano a vicenda: c’è solo il nirviśeṣam.
Perciò, dopo aver parlato dell’unità massima (mukhya ekatvam) del nome e del nominato, la śruti dice: “Non pensare che l’unità, questo nirviśeṣam, sia qualcosa di diverso da te, è te stesso, perché colui che vede (dṛṣṭṛ, il Testimone) la correlazione è l’unità: la correlazione è oggettivata e l’osservatore, che non è oggettivabile, è l’unità della correlazione”. Il nome Oṃ è un pensiero e anche la relazione origine-creazione è un pensiero. Entrambi i pensieri sono fatti dal vedente, dal pensatore, dall’essere cosciente; perciò la śruti dice che non devi immaginare l’unità come lontana da te: l’unità sei tu. Nel secondo mantra di questa Upaniṣad,“Sarvam hi aitad Brahma, ayam Ātmā Brahma”, la seconda parte ‘ayam Ātmā Brahma’, significa che questo Sé sei tu. Ayam1 sta per tu, e non può mai diventare ‘quello’. È ‘Questo’: altrimenti qualsiasi ‘questo’, ‘questo oggetto’, considerato lontano diventa ‘quello’; ogni ‘questo’ è soggetto a diventare ‘quello’; invece, la tua stessa esistenza è descritta come ‘Questo’ che non è mai soggetto a diventare ‘quello’. È il ‘Questo’ assoluto e ‘Questo’ significa che sei tu stesso e che non puoi mai diventare ‘quello’. Nella vita empirica qualsiasi oggetto che sia a breve distanza è ‘questo’ e ciò che sta a una distanza maggiore è ‘quello’. Ma ‘Questo vedente’, quando si dice che non può mai diventare ‘quello’, è aparokṣam [invisibile], è l’Essere non oggettivabile; quindi la tua stessa esistenza è nirviśeṣam che è la verità di tutti i colori: la tua stessa esistenza è nirviśeṣam. In quanto origine di tutti gli oggetti, tu sei Oṃ: tu come origine e il tuo nome Oṃkāra siete letteralmente un ‘te stesso’, il nirviśeṣam. Te stesso, come vedente e visto, diventi un unico nirviśeṣam nel sonno profondo. Tutte le correlazioni si riducono a essere un solo nirviśeṣam e questo nirviśeṣam ha quattro pāda. “Soyam Ātmā catuṣpādat”. Il nirviśeṣam visto come il vegliante assieme all’universo della veglia è il primo pāda chiamato Virāṭ, altrimenti detto Vaiśvāanara. Tu pensi: “sono limitato nella forma”, ma la śruti dice che la tua esistenza è completa per natura. Che sei limitato è la tua conclusione errata, ma per esperienza sei completo: tutto rientra nella tua vista, la tua vista cosciente è completa e, quindi, come tutt’uno con l’intero stato, sei Virāṭ. È nirviśeṣam che viene insegnato come Virāṭ, che viene limitato dal jīva come viśva racchiuso in una forma. E lo stesso nirviśeṣam, visto come sognatore e come sognato, è Hiraṇyagarbha, ossia Taijasa, perché anche nel sogno si prova un senso di limitazione; ma all’analisi dell’esperienza, non si è affatto limitati: si è completi, perché l’intero sogno cade nella tua vista. Tutte le diverse opinioni vengono demolite da questo unico ragionamento: tu sei completo, non limitato. Come si fa a dimostrare la tua completezza? Dato che tutto rientra nella tua vista, la vista è completa. Lo stesso nirviśeṣam del vegliante e dell’universo della veglia è Vaiśvānara, e quello del sognatore e dell’universo sognato è chiamato Hiraṇyagarbha.
Lo stato di sonno profondo dal punto di vista dei profani è ignoranza, mentre dal punto di vista degli Sāstra è la presenza della tua esistenza come nirviśeṣam. Quando le relazioni non ci sono, ciò che c’è è solo l’Essere senza relazioni. Quando non c’è rumore, allora si è presenti come Essere silenzioso. Perciò suṣupti non è assenza di rumori, è l’Essere senza rumori; la propria presenza non può mai essere sostituita da qualcosa. Se fosse vero che è sostituita da qualcosa, sarebbe dimostrato ancora una volta dalla tua presenza: tutto è dimostrato dalla tua presenza. Tu soltanto lo testimoni e senza che tu lo testimoni non può essere né provato né confutato. Non si può testimoniare se non si è presenti; se si postulasse una specie di zero, tu dovresti essere presente anche per testimoniare con la tua presenza che è uno zero. Quindi non si può mai essere sostituiti da śūnyam, dal vuoto. Qualora ci fosse il vuoto, come faresti a saperlo? Con la tua presenza: ma se la tua presenza è lì, allora non c’è vuoto. L’assenza di una forma è testimoniata dalla presenza della verità, dalla presenza dell’Essere; la presenza dell’oggetto è testimoniata dalla tua presenza, come l’assenza dell’oggetto è anch’essa testimoniata dalla tua presenza. Perciò la presenza o l’assenza di un oggetto non possono sostituire la presenza del soggetto. Lo stato di sonno profondo non è un’assenza di oggetti, è uno stato della tua presenza libera da tutto, è presenza del tuo Essere senza oggetti, presenza del tuo Essere senza pensieri e in quel nirviśeṣam ti svegli; non copri una distanza dal nirviśeṣam per raggiungere la veglia, ma inizi la percezione della veglia, il che significa che l’intero stato di veglia appare all’interno del nirviśeṣam, quindi è evidente la relazione origine-creazione. Oppure, la relazione origine-percezione è evidente perché proprio nel nirviśeṣam appare il senso di individualità, l’intero stato di veglia segue lo stato di sonno profondo. O, meglio, non segue lo stato di sonno profondo, appare proprio nello stato di sonno profondo. Il modo di dire “l’onda segue l’acqua”, significa che l’onda avviene proprio nell’acqua. Non è come se arrivasse una persona e, poi, ne arrivasse un’altra; questa sarebbe un kāla krama, una sequenza temporale2. Invece, tra l’onda e l’acqua non c’è sequenza temporale perché non c’è tempo tra le due cose, non c’è spazio tra le due cose: se non c’è spazio non c’è nemmeno tempo e non c’è divario spaziale. Così, se diciamo “l’onda segue l’acqua”, che significa che l’onda appare proprio nell’acqua, allo stesso modo “lo stato di veglia segue lo stato di sonno profondo” o “il tumulto segue la serenità assoluta” significa che il tumulto appare proprio nella serenità assoluta, il che significa che la serenità assoluta è la Realtà stessa che sta dietro al tumulto, è l’origine del tumulto. Quindi la relazione origine-apparizione è evidente a ogni essere vivente; che la tua stessa esistenza sia l’origine di ciò che vedi è evidente, e ciò che è evidente non puoi negarlo perché per negarlo hai bisogno di prove; invece, quando qualcosa non è evidente, è evidente che non c’è. Se dico che è evidente puoi negarlo, ma è evidente a me, a te e a ogni essere vivente, perché un uomo si sveglia dal suo sonno profondo, il nirviśeṣam, e proprio lì inizia il suo pensiero. Il pensiero inizia proprio nell’essere privo di pensiero, il pensiero non inizia in alcun’altra parte: il pensiero inizia in te, la percezione inizia in te, il senso di incorporazione inizia nel proprio Sé. E si dà il caso che il tuo proprio Sé sia il nirviśeṣam non limitato perché è il pensiero che ti dà il senso di limitazione. Il pensiero inizia in te stesso privo di pensiero; prima che inizi sei privo di pensiero e quando inizia, inizia all’interno dell’essere privo di pensiero. Perciò il rapporto origine-creazione è evidente, è evidente che tutto appare nel nirviśeṣam. Per un profano suṣupti è uno stato di ignoranza, uno stato di oscurità, è lo stato di “io non so nulla”; ma la śruti dice il contrario, è uno stato di presenza, di presenza senza limitazione, senza pensiero, senza forma, senza universo, senza tempo-spazio, senza pensiero: è la tua presenza. Non puoi arrivare alla tua assenza, perché se arrivi alla tua assenza questa deve essere provata: anche la tua assenza deve essere testimoniata, ma per testimoniare la tua assenza è necessaria la tua presenza. Come possiamo risolvere questo problema? Non è facile provare la tua propria assenza solo affermando che prima di nascere non c’eri e che dopo la morte non ci sarai, perché ciò comporta difficoltà logiche. La tua assenza deve essere testimoniata dalla tua presenza, confondi l’assenza di pensieri per l’assenza di te. Tutto deve essere testimoniato dalla verità, dal Sé, dal soggetto; e senza la tua testimonianza che prova c’è? C’è un sole. Qual è la prova? La tua percezione, la tua presenza, tu sei lì a vederlo. Qual è la prova dell’universo? Il fatto che tu sei lì a vederlo, la prova è la tua percezione. Se nello stato di sonno profondo tu non sei lì, qual è la prova? Se dici “è la mia esperienza” allora dici che la tua presenza è lì. Quindi lo stato di sonno profondo non è uno stato di assenza: è uno stato di presenza libera da tutto e proprio in quella presenza silenziosa di tutto inizia la percezione della veglia. Questo stabilisce il fatto che la tua presenza silenziosa è la verità di fondo dell’intera percezione di veglia. Per spiegarlo, la Chāndogya Upaniṣad fa questo esempio: qualcuno stava andando da un villaggio a un altro. Lungo la strada si imbatté nella casa di un vasaio e lì vide un ammasso di argilla. Al ritorno, al posto di quell’ammasso di argilla vide un mucchio di vasi, un mucchio di vasi fatto con quell’ammasso di argilla. Allo stesso modo, l’intero stato tumultuoso chiamato veglia è fatto di assoluta serenità, perché prima che inizi lo stato di veglia c’è serenità e proprio in quella serenità inizia lo stato di veglia. Questo è il punto cruciale: la veglia non viene dopo la serenità, è proprio nella serenità che appare il mondo di veglia: non c’è alcuna sequenza temporale. È come quando pensi un pensiero in te che sei libero dal pensiero; il pensiero appare nella tua presenza libera dal pensiero, nell’Essere cosciente. Quindi è universalmente evidente che l’origine del pensiero è l’origine dell’intero universo. Per un profano, cos’è lo stato di sonno profondo? È uno stato di ignoranza, uno stato di nulla, uno stato di vuoto, uno stato di “io non conosco niente”. Ma le Scritture dicono il contrario: è uno stato della tua presenza pacifica e libera da tutto; è l’Essere libero che sei tu e proprio lì inizia lo stato di veglia; quindi tra lo stato di veglia e la tua presenza silenziosa c’è una relazione origine-creazione. Chiamatela pure relazione origine-creazione o relazione fatto-percezione, relazione fatto-errore o relazione origine-percezione, non ha alcuna importanza. Come origine dello stato di veglia, la tua presenza è chiamata Īśvara ed è per questo che la śruti dice che Īśvara è questo stato di sonno profondo. La tua presenza silenziosa come origine dell’universo è chiamata Īśvara, altrimenti come esperienza è nirviśeṣam. Così ti viene insegnato: “Ehi, l’origine dell’universo non è là fuori, è il tuo stesso Essere, lo vedi in te stesso; ma finché non è compreso correttamente sembra tutto fuori di te”. È come quando ti guardi allo specchio e pensi di essere dentro lo specchio: “Come ho fatto a entrare nello specchio?” Queste illusioni sono possibili; ma le illusioni non sono generate dal corpo o dal cervello. Tu ti credi d’essere il cervello, il corpo, l’individuo incorporato che è un’illusione. Non è che dopo aver pensato di essere il corpo entri nell’illusione. No: trovarti come individuo incorporato è l’illusione: non sogni dopo essere entrato nello stato di sogno, è entrare nello stato di sogno che è un sogno. Trovarti come individuo è un’illusione da cui deriva una vera abbondanza di illusioni. Il nirviśeṣam insegnato come origine della veglia e del sogno è chiamato Īśvara. Secondo lo Sāstra la stessa suṣupti è Īśvara. Questo nirviśeṣam è insegnato dagli Sāstra come origine dell’universo, ma è solo in relazione alla percezione che il proprio Essere silenzioso è chiamato Īśvara, l’origine. Come origine dell’universo è chiamato onnisciente (sārvajñyaḥ). Onniscienza (sārvajñyatvam) è anche un termine di relazione, ossia adhyāropa dṛṣṭi. È il Sé interiore, cioè è la verità non oggettivabile; e anche questo è adhyāropa dṛṣṭi. La śruti non ipotizza una cosa lontana come origine. Se la sostanza ha un’altra sostanza come origine, anche quella sostanza è sostanza. La śruti dice che l’intera sostanza di per sé è fatta di Coscienza; quindi non si può davvero porre la sostanza come origine della sostanza, perché sia che si tratti della creazione della sostanza, sia che si tratti della origine della sostanza, è tutta una sostanza. Chiamala sostanza grossolana, chiamala sostanza sottile, tutta la sostanza ha una sola origine e la origine della sostanza non può essere un’altra sostanza, perché la origine della sostanza deve essere diversa dalla sostanza. L’origine dell’errore deve essere diversa dall’errore, la sorgente dell’apparenza deve essere diversa dall’apparenza, la fonte del falso deve essere diversa dal falso. Tu vedi i colori nell’incolore e l’incolore è in contrasto con il colore. Allo stesso modo è la sostanza di tutti gli oggetti: la sostanza è sotto forma di colori e il vedente della sostanza è incolore, quindi vede tutti i colori dentro di sé, nel nirviśeṣam.
I.1. Bahiṣprajño vibhurviśvo hyanttaḥprajñastu taijasaḥ ǁ
Ghanaprajñastathā prājña eka eva tridhā smṛtaḥ ‖
Viśva è cosciente degli oggetti esterni ed è onnipervadente; Taijasa è cosciente degli oggetti interni. Similmente, Prājña è cosciente della sua unità di coscienza indifferenziata. Pur essendo soltanto uno, è pensato in tre modi.
Fino a questo punto il testo esaminato si riferiva ai mantra dell’Upaniṣad. Qui comincia la spiegazione del Kārikākāra (Gauḍapāda) su come sono i tre stati, ma senza ancora falsificarli. Il primo è bahiṣprajña, cioè il vegliante che è chiamato cosciente dell’esterno, il sognatore che è chiamato antaḥaprajña, cosciente dell’interno, e il dormiente che è chiamato ghanaprajña, cosciente in forma indifferenziata; e tutti e tre sono concepiti sotto forma di pensieri durante l’esistenza corporea. Lo stato di sonno profondo è un’esperienza che non è fatta all’interno dell’incorporazione: è privo di incorporazione, ma è ricordato come assenza di tutto, diventa pratyabhijñyā, ossia un ricordo del sonno profondo recuperato in stato di veglia. Quindi è nello stato di veglia che penso alla veglia come realtà. È sempre all’interno dello stato di veglia che penso allo stato di sogno come sogno, ma mentre si sperimenta il sogno sembra un altro stato di veglia. Il sogno è pensato come sogno nello stato di veglia. Lo stato di sonno profondo, considerato secondo una visione profana in quanto stato di ignoranza o in altro modo3, è percepito solo nello stato di veglia: quindi tutti e tre gli stati sono presi in considerazione solo nello stato di veglia. La veglia è percepita come veglia nello stato di veglia, il sogno è percepito come stato di sogno solo nello stato di veglia e lo stato di sonno profondo è pensato come uno dei tre stati solo nello stato di veglia; ma quando viene sperimentato non è vissuto come uno dei tre stati. Quindi, tutti e tre gli stati sono all’interno dell’incorporazione. Tuttavia, l’esperienza dello stato di sonno profondo non è all’interno dell’incorporazione; la libertà dall’incorporazione non è esperienza che si fa all’interno dell’incorporazione, è libera dall’incarnazione. Queste sono le poche cose che dobbiamo osservare.
Affrontiamo ora la prima Kārikā. Uno appare come tre. Se uno appare come tre, nessuno dei tre può sostituire l’uno. Nella tua mente c’è un uno diviso in quattro. Un quarto non può sostituire l’uno perché si può chiamare un quarto solo tenendo conto dell’uno; se l’uno non c’è, allora non lo si può descrivere come un quarto. Lo stato di veglia non può sostituire la tua presenza, lo stato di sogno non può sostituire la tua presenza. Alcuni chiamano ‘vuoto’ lo stato di libertà da tutto. Nemmeno il vuoto può sostituire la tua presenza: è un aspetto, come quello di chi veglia, di chi sogna e di chi dorme. Un solo Essere ha tre etichette, che sono etichette fondamentali, universali; le etichette sociali sono diverse. L’uomo si ritrova con queste tre etichette fondamentali: “io sono un vegliante, sono un sognatore, sono un dormiente”. Non è come dire “sei il presidente di un Rotary Club”, titolo che viene acquisito come tutte le altre etichette sociali. Vegliante, sognatore e dormiente non sono acquisite: tu ti ritrovi con queste etichette, sei nato con queste etichette. È, infatti, la stessa nascita che ti appiccica queste etichette: “io sono il corpo” è un’etichetta, ma non è un’etichetta sociale. Si deve distinguere tra le etichette sociali e le etichette senza inizio (anādi); non si nasce nel tempo, perciò le etichette sono senza tempo. Tu ti ritrovi come individuo sveglio, individuo che sogna. “Non so cosa sia successo nel sonno profondo” è anch’esso un’etichetta; ma che tu lì non conosca nulla, chi lo può dimostrare? Chi lo testimonia? È solo la tua esperienza di non conoscere nulla e questo significa che sei fondamentalmente uno sperimentatore, perciò non sei ignorante: se puoi sperimentare la tua ignoranza, allora sei fondamentalmente un soggetto che sperimenta, non un ignorante. L’ignoranza è un’etichetta; ti consideri ignorante quando non capisci che sei fondamentalmente un soggetto che sperimenta sempre. Come quando chiudi gli occhi ed è tutto buio, ma, mio caro il signore, non sei il buio perché il buio fisico è la tua esperienza; come sperimentatore non sei al buio, perché l’esperienza è luce. Pertanto, l’identità di vegliante non sostituisce la tua presenza, l’etichetta di sognatore non sostituisce la tua presenza, e la tua presenza non è un’etichetta. L’identità di sognatore è un’etichetta, l’identità di vegliante è un’etichetta, “non conosco niente” è un’etichetta; ma la tua presenza non è un’etichetta, la tua presenza è Realtà, la tua presenza non è sostituita dalle tue etichette. È con questo verso che inizia il Kārikākāra.
- Ayam è come dire idam, vale a dire ‘questo’. Nel linguaggio vedāntico ‘questo’ sta per il mondo illusoriamente considerato come una realtà oggettiva esterna, mentre tat (Quello) significa l’Assoluto, il Brahmātman. Qui Svāmījī rovescia l’uso dei termini, giocando sul concetto di vicinanza e lontananza. In questo caso, dunque, ‘quello’ sta per ‘altro da Sé’, qualcosa di separato, di distante, mentre ‘Questo’ indica il Sé, ciò che è più vicino, intimo e identico a ‘te’. Per maggior chiarezza abbiamo invertito le maiuscole iniziali dei due pronomi dimostrativi [N.d.C.].[↩]
- L’assenza di sequenza temporale non significa affatto che la relazione causale (kārya-kāraṇa sambandha) possa esistere in una sequenza logica astratta dal tempo. Se l’effetto è considerato reale, esso è necessariamente una modificazione (pariṇāma) temporalmente successiva della sua causa od origine; infatti, la causa si trasforma nell’effetto nella prospettiva satkāryavāda, oppure l’Assoluto si trasforma in Creatore in quella asatkāryavāda. Ma questo è il punto di vista empirico (vyāvahārika dṛṣṭi), quello dell’illusione, dell’errore, dell’ignoranza. Il Vedānta,invece, sostiene il vivartavāda, ossia la dottrina per cui l’effetto è non reale (vivarta); e, l’effetto se non esiste, allora la causa non è causa: è sempre e solo l’Assoluto indifferenziato (nirviśeṣam). Questa precisazione è necessaria per smentire alcune vere e proprie bestialità pubblicate in proposito di recente [N.d.C.].[↩]
- Come stato causale, Māyā, Īśvara ecc. [N.d.C.].[↩]